lunedì, Maggio 13, 2024
Curiosità

Ferrara – 7 novembre 1876: quando il capitano Boyton “non” arrivò a Pontelagoscuro

Nel pomeriggio del 7 novembre 1876, a Pontelagoscuro, il Presidente del Circolo Ferrarese della Società di Salvataggio, Cav. Cesare Zafferini, e con lui molti amici, conoscenti e giornalisti, erano in attesa del famoso capitano Boyton.

In barca sul Po per l’intera giornata, nella speranza di avvistare l’ardito compagno, era rimasto il segretario del capitano, il sig. John Crain un giovane di origine scozzese, alto, grasso, erculeo, dal viso pallido circondato da una barba bionda, corta e rada.

Il segretario, che parlava e capiva l’italiano, forniva ai giornalisti presenti tutte le informazioni sul tentativo di Boyton.

Il capitano Boyton aveva 28 anni, era di media statura, tarchiato, robustissimo, capelli ed occhi neri che “sprizzavano sguardi sovranamente espressivi”, e apparteneva al servizio di salvataggio degli Stati Uniti, e utilizzava anche sul Po un apparecchio di salvamento che aveva perfezionato, ma che era stato inventato da un americano, Merryman.

L’apparecchio era di tela impermeabile e ricopriva tutto il corpo, eccettuate le mani e il viso; in corrispondenza della regione toracica e addominale era invece distaccato dal corpo, in modo da lasciare una quantità di aria sufficiente a mantenere l’uomo a galla e insommergibile per quanto il mare fosse tempestoso.

L’aria, che circolava internamente, poteva essere rinnovata tenendo sollevato l’elastico che cingeva il viso e alzando e abbassando la parte anteriore del vestito. Si otteneva cosi una corrente che rinnovava l’aria interna e ne impediva la traspirazione.

Attraverso cinghie interne, il corpo manteneva sempre la stessa posizione; il centro di gravita costante eliminava il pericolo di essere capovolto. Un sacco in tela impermeabile a forma di prisma, legato alle spalle in modo da potersi agevolmente staccare, poteva contenere provviste per tre giorni e serviva anche come appoggio alle spalle e alla testa.

Una cinghia partiva dalla cintura e giungeva sino ai piedi, fissandosi ad un trapezio di legno; era il punto d’appoggio per la voga. Un remo all’indiana e una piccola vela completavano l’apparecchio. Il vestito si vendeva a Londra, ad un prezzo variabile dalle 300 alle 400 lire. Il primo esperimento dell’apparecchio era avvenuto in Inghilterra il 10 aprile 1874; alle tre del mattino, il capitano Boyton era a bordo del Rambler, piccolo steamer, sul quale erano il fratello, un medico e moltissimi invitati.

La traversata intera del Passo di Calais non fu portata a termine per le forti correnti e il mare agitato. Rimase in mare per 6 ore, e giunto a Boulogne accolto “da una folla plaudente”, telegrafò subito alla Regina d’Inghilterra che desiderava essere informata dell’esito del tentativo.

In Italia, il palermitano Benvenuto D’Alessandro aveva costruito un apparecchio di salvataggio simile a quello di Boyton: una dimostrazione dei due apparecchi, (quello dell’italiano rimaneva sollevato a livello toracico e addominale con un sistema di semicerchi) era avvenuta il 6 agosto 1876 a Genova, in occasione delle regate. Il 1 Novembre 1876, il capitano Boyton si tuffava a Torino nelle acque del Po, munito di viveri per alcuni giorni; senza arrestarsi ne uscire dal fiume, tentava di percorrere 740 km. per giungere a Pontelagoscuro, dove contava di fermarsi per alcuni giorni per dimostrare l’utilità dell’apparecchio e poi ripartire per Venezia.

Boyton non ignorava i pericoli nascosti del Po: infatti, in una cartolina indirizzata al Corriere della Sera scriveva: “Questo fiume è terribile. In questo tempo ho corso il rischio due volte di perdere la vita. Il mio viaggio è lungo, di notte non posso far altro che galleggiare; il fiume è coperto di nebbia. Arriverò a Ferrara circa venerdì”.

Nonostante il cronista della Gazzetta Ferrarese scrivesse che l’impresa avrebbe destato l’ammirazione universale e che la curiosità vivissima avrebbe invogliato molti ferraresi ad assistere all’arrivo, il giorno successivo si leggeva “forse è stato meglio che ieri Boyton non sia arrivato a Pontelagoscuro perché si contavano le persone recatesi.

Quando abbiamo lasciato Pontelagoscuro il cielo era cosparso di nuvole; spirava un venticello pungente. La serata è fredda e umida; scende una fitta acquerugiola e mentre noi e voi stiamo per godere di quei tepori del letto, così bene decantati dal Berni, il celebre capitano, in mezzo al Po, solo fra le nebbia, o sotto la pioggia, rasenta i mulini fra i quali ogni minuto può lasciare la vita”.

I rapporti con la stampa erano tenuti dal segretario John, che riferiva le notizie rinvenute a mezzo posta: “il capitano alle ore 10 e 1/2 è passato questa mattina da Piacenza”; nell’intervista concessa, a chi chiedeva se fosse vero che questo era l’ultimo viaggio del capitano, questi scuotendo il capo disse: “temo che egli voglia fare un ultimo esperimento traversando l’Oceano”.

A questa precisazione il cronista della Gazzetta Ferrarese rispose “O dite mo se a raccontarle queste cose non c’è da supporre che siano fole da bambini”.

Dopo aver superato Piacenza, Boyton venne colto da febbre alta e il tentativo sul Po non sarebbe più stato ripetuto. L’infortunio della febbre non impedì di considerare l’esperimento ugualmente riuscito, tanto più che nel trascrivere le cronache ferraresi di quegli anni un cronista scrisse che non solo Boyton pose piede a Pontelagoscuro me che “trasferendosi da noi (Ferrara) porgerà un saggio della sua invenzione eseguendo giochi entro le acque del castello”.

Evidentemente aveva letto soltanto la locandina pubblicitaria. Che la cosa fosse seguita con interesse è comprensibile, se pensiamo come fosse particolarmente sentito dall’opinione pubblica il tema generale del soccorso ai naufraghi. Sono gli anni che vedono il costituirsi di “società” apposite, ed attrezzarsi i porti in tal senso.

Forse non fu estraneo il fatto che proprio da noi si andava inaugurando la prima “Stazione di Salvataggio delle Coste Italiane” nel porto di Magnavacca (Portogaribaldi). Era il 24 novembre 1876. Quattro mesi più tardi, nel marzo del 1877, per reclamizzare il suo apparecchio, il capitano attraversava lo Stretto di Messina. Un cronista del tempo scriveva “mentre remava con il suo leggerissimo apparecchio (il vestito con tutti gli accessori si piegava facilmente e occupava un volume piccolissimo) si sentiva fortemente urtato alle spalle da un pescecane, lo respingeva e a mezzogiorno atteso da una gran folla giungeva a Messina.

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