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Storia

I GIGLIOLI, CONTI DI SERRAVALLE, E LA “MITICA” COPPIA FERRARESE

La ciupéta

I Giglioli, conti di Serravalle, e la “mitica” coppia ferrarese.

Post n°50 pubblicato il 18 Maggio 2014 da g .raminelli

   Da bambino abitavo in una strada, qui a Serravalle, a poca distanza da un forno. Al mattino, quando andavo alla scuola elementare, non era infrequente che mi ritrovassi per merenda un bel “grugnòl” (uno dei bracci della coppia ferrarese) che mia madre si premurava di accompagnare ad un pezzo di formaggio. Era una merenda sana e io mi gustavo quel pezzo di pane come fosse il più buon cibo del mondo. Non sbagliavo: il pane ferrarese è una prelibatezza. Il pane qui da noi è sempre stato un mito. Ricordo (ma ancora avviene la stessa cosa) quando arrivavano da Milano, Genova, Varese, Torino i compaesani emigrati anni prima in cerca di lavoro che il loro primo pensiero al momento del ritorno era quello di portarsi appresso una buona scorta di coppie. Questione di grano, di farine macinate in loco (allora, ora non più), di acqua, di fuoco nel forno realizzato con la legna del posto.

   Capitava al pane la stessa cosa che succedeva ai mattoni cotti nelle nostre fornaci: questione dei quattro elementi combinati in modo unico ed irripetibile: aria, acqua, terra, fuoco. Già, un mix irripetibile: il profumo inondava l’abitato e il pane durava fragrante e buonissimo per giorni, per settimane. E di esso, quando si arrivava al 17 gennaio, festa di Sant’Antonio Abate, patrono degli animali, si portava in chiesa un pezzo perché il sacerdote lo benedisse e così sbriciolato nel cibo degli animali da cortile fosse garanzia di salute e di crescita senza malanni. Altri tempi, perché oggi ci si fida delle scatolette con mousse, con straccetti, dei preparati con croccantini al ginseng e altre amenità di questo tipo. In ogni caso aveva un senso anche la frase della preghiera del Padre Nostro quando si arrivava al punto ove si diceva:…”dacci oggi il nostro pane quotidiano”. Naturalmente, in anni di ristrettezze economiche, non si pensava ad altro pane che alla classica coppia, la “ciupéta” (che letteralmente andrebbe italianizzata in “coppietta”), pane bianco, pane da signori, accessibile però nel prezzo (ora con l’euro è divenuto articolo da boutique alimentare…).

Ma perché parlo di questo mitico alimento ferrarese? Ne parlo perché noi di Serravalle potremmo vantarne la primogenitura se non totale almeno parziale, ma di sostanza. Ecco il motivo. Si dice che la prima comparsa (ma vi sono documenti che parlano del pane intorto qualche anno prima) di questo tipo di pane sia avvenuta un giovedì nel periodo di Carnevale del 1536 ad opera del conte Girolamo Giglioli. Il Giglioli portava il titolo di conte di Serravalle ed è per questo che noi ci sentiamo un poco padrini insieme al Giglioli di questa prelibatezza. Sì perché qui il Giglioli aveva ricche piantagioni di grano, qui, lungo il Po, vi erano decine di mulini ad acqua, qui i boschi producevano legna in abbondanza e l’acqua del Po non era inquinata come al giorno d’oggi. Di sicuro egli portava nel suo palazzo di Ferrara ciò che la tenuta di Serravalle produceva. Che poi la forma della coppia (“ciupéta”) presentata per la prima volta “aperta” abbia maliziosamente potuto indurre a vedere nei “grugnó” le gambe di una donna con quanto vi… appartiene, io non saprei dire. Forse l’attorcigliamento era del tipo chiuso, cioè con la metà della coppia (i cosiddetti “panìt”) come tutt’ora in Romagna e può essere che solo in un secondo tempo si sia arrivati alla versione attuale, aperta e sostanzialmente doppia.

   Insomma, la coppia ferrarese ha un legame con il paese di Serravalle, dove il grande fiume giunge e dà luogo al delta, dove il suo corso si divide proprio come sono ancora oggi divisi i “grugnó” della “ciupéta”.

Giovanni Raminelli
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