sabato, Luglio 27, 2024
Storia

DESCRIZIONE DI ALCUNE POSSESSIONI ED ORIGINE DELLE LORO DENOMINAZIONI

Il Palazzone

Una storia di «tutti» i luoghi del territorio serravallese sarebbe impresa lunga ed onerosa e richiederebbe una trattazione a parte. Per i fini del presente lavoro sono sufficienti le note qui di seguito riportate e relative ai più importanti possedimenti e luoghi, specie se ancora oggi esistenti.

La «stima» è stata la base grazie alla quale possiamo stabilire molti dati e nomi di luoghi e persone della fine del secolo scorso. Fra i territori compresi nei confini della decima, le proprietà più consistenti erano quelle del sig. Pietropoli Francesco del fu Angelo con la possessione Contarina, Sabbioni e del Palazzone; del sig. Pivanti Filippo del fu Giorgio con la tenuta Crepalda e parte del Fondo Benissimo, la Brajola ed il Brollo; del sig. Cavalieri Ventura con il Fienilone e la Valle, passate poi alla Società Bonifiche Ferraresi; e, infine, dei fratelli Biolcati con i Sabbioni, la Braglia Novali ed il Pradone. Oggigiorno molti dei nomi di tali terreni non si usano più, come sono caduti in disuso quelli relativi ad appezzamenti di terra e a proprietà minori (es.: Vidara, Andrione, Prati, ecc.). Fra i territori più estesi vanno ricordati quelli del Fienilone, che negli anni 1860/’65 erano ancora in gran parte vallivi, eccettuata una piccola striscia di circa 5 ettari a ridosso del Canal Bianco, bonificata e, perciò, produttiva. Da ricordare la possessione Contarina (nella Stima identificata con gli attuali terreni del Palazzone) che abbiamo già visto prendere nome dal fatto che, anticamente, essa apparteneva alla nobile famiglia dei Contarmi, patrizi veneziani che, fin dal secolo XIII, assieme ad altre famiglie venete: Moro, Fontana, Quirini, godevano di certe investiture su boschi e paludi nelle valli di Coccanile che si estendevano fino a Po di Venezia.

Dai Contarmi, la possessione pervenne in proprietà ai Giglioli i quali, sul finire del 1700, la concessero in utilità ai fratelli Bartolomeo e Giorgio Benazzi di Pietro. La proprietà passò quindi ai Pietropoli e, in seguito, ai Mongini che vi costruirono la casa padronale attualmen­te esistente. L’attuale via Mongini, fino a circa metà dell’Ottocento veniva chiamata «Strada di ragione Benazzi» (vedi il Foglio del Catasto Terreni dell’anno 1835, relativo a Serravalle). Solo in seguito essa divenne «Strada dell’Ariosta» e infine «Via Stefano Mongini».

Ritornando al discorso della denominazione dei luoghi soggetti a decima, è da dire che col passare degli anni i vecchi appellativi hanno subito rimaneggiamenti e alterazioni o, nel peggiore dei casi, sono andate in disuso. La manomissione dell’antica toponomastica crea non pochi intralci allo studio della zona e della vita agricola del tempo, cosicché anche la consultazione degli antichi rogiti, necessaria e d’obbligo, non sempre porta alla individuazione dei possedimenti.

Cominciamo con i «Sabbioni». Questi, assieme al «Fondo Sabbioni» e ai «Sabbioni vecchi», i primi due compresi grosso modo fra le vie Bonamico e Roma confinanti a nord con l’Argine del Po, e il terzo comprendente una parte del territorio confinante a nord con i primi, a sud con l’argine sinistro del Canal Bianco e a ovest con i terreni del Palazzone – traggono la loro denominazione dalla caratteristica prevalentemente sabbiosa del terreno. Si può ragionevolmente pensare ai depositi di sabbia prodotti dalle acque del Po nel corso delle varie rotte che interessarono il nostro paese, depositi che erano più consistenti nei luoghi più avvallati. Ed infatti la zona maggiormente sabbiosa è proprio quella a ridosso dell’argine del Po, zona che comprende in gran parte i cosiddetti «Sabbioni».

Basti pensare che nella proprietà dei fratelli Biolcati esisteva ancora agli inizi di questo secolo una cava di sabbia, usata in special modo per i lavori dei muratori locali. Nella «Pianta del Terrimento in Saravalle di ragione delli Signori Biolcati» redatta il 30/11/1858 dal perito ferrarese G. Benazzi ed allegata all’atto di divisione fra Giuseppe, Antonio, Gaetano e Pietro Biolcati, rogato dal notaio ferrarese dott. Gaetano Giovannelli il 15 dicembre 1859, si desume lo stato di una gran parte del territorio serravallese di proprietà di questa numerosa e facoltosa famiglia. In esso, fra l’altro, vi si cita il piccolo appezzamento chiamato «Sabbioni de’ morti» situato in confine con l’argine del Po, verso il Ghetto, che non è menzionato nella «Stima» ed è caduto in disuso.

Fra gli atti di natura privata in cui si nominano i «Sabbioni» si trova anche quello rogato dal notaio D’Antonio di Ferrara in data 22/10/1887, registrato in Ferrara l’11/11/1887 al n. 607, relativo alla cessione di terreni fatta dalla signora Pietropolli Teresa, vedova di Pivanti Achille, a favore del figlio Giovanni, e della relativa divisione fra Pivanti Filippo, Giovanni e Giuditta, questi ultimi due figli del fu Achille. I Pivanti, fra le altre loro proprietà, ebbero anche il fondo «Sabbioni», di cui una parte notevole fu pure dei Biolcati.

L’atto risulta interessante in quanto cita il nome di un piccolo appezzamento, detto «Le Bagatelle» (distinto nella vecchia Mappa col n. 1166) che, tuttavia, non è più presente nella «Stima» del Cugini del 1891, ed il cui uso è da molto tempo scaduto fra la nostra popolazione, tanto che neppure le persone anziane di Serravalle lo ricordano.

Il vocabolo «Braglia», deriva invece dal teutonico «braia» ed indica un appezzamento di terra generalmente alberata e vitata ma priva di casa colonica. Da tale termine derivano: «Brajola», terreno meno vasto del precedente; «Braglino da Po», dei fratelli Biolcati, situato nei pressi del Po, e il «Braglino», piccolo appezzamento, quasi un orto; la «Braglia Novali», sempre di proprietà dei Biolcati, indicante il campo ridotto di fresco a coltura. «Novale» infatti (dal latino: «novale-is» sottinteso «solum» cioè «suolo») indica un terreno che è stato bonificato da poco e che viene lasciato in riposo per qualche tempo in attesa della aratura.

Un campo alberato e vitato non veniva, di solito, arato o predisposto per la semina, così come un campo di recente bonificato non poteva venir subito coltivato; a volte, anzi, lo si lasciava incolto per qualche tempo ed il suo unico uso era quello di adibirlo a pascolo. Scorrendo, infatti, la serie degli appellativi della citata «Stima», troviamo i cosiddetti «Prati» e il «Pradone» (evidente accrescitivo del primo, secondo il dialettale «pradòn). Questi appezzamenti di terra erano situati alla destra del Canal Bianco in unione ai «Dossi». Negli anni 1860/’65 essi erano ancora in gran parte incolti e venivano adibiti al pascolo delle bestie. «Dosso» (da cui poi «Dosso Marianti», a sud del nuovo cimitero) è una parte di terreno emergente rispetto a quello circostante. Lungo i dossi si formarono le prime piste transitabili che il più delle volte seguivano il tracciato dei numerosi canali di scolo.

Nel nostro caso veniva denominata «Dosso», o anche «Dossi», quella lingua di terra che aveva i suoi confini a nord con l’argine destro del Canal Bianco, a est con la strada del cimitero, a sud con lo scolo detto la «Fossetta»  e a ovest con i terreni del Fienilone, di proprietà della Società Bonifiche Ferraresi. I «Dossi» vennero completamente bonificati successivamente al 1862; una parte di essi era però produttiva e coincideva con una stretta zona di terra costeggiamo l’arginatura destra del Canai Bianco. Sul finire del 1700 il territorio di valle era denominato «Valli di Saravalle sotto Ariano» così come risulta dalla carta riportata sotto la numerazione 19. Anche questo territorio vallivo, dipendendo dalla giurisdizione di Serravalle, e quindi sotto la cura parrocchiale d’Ariano almeno fino al 1818, era compreso nella diocesi di Adria.

Come in dialetto si indica con «spagnara» il terreno coltivato ad erba medica, così il termine «Vidara» individua un terreno da parecorto; la «Braglia Novali», sempre di proprietà dei Biolcati, indicante il campo ridotto di fresco a coltura. «Novale» infatti (dal latino: «novale-is» sottinteso «solum» cioè «suolo») indica un terreno che è stato bonificato da poco e che viene lasciato in riposo per qualche tempo in attesa della aratura. Un campo alberato e vitato non veniva, di solito, arato o predisposto per la semina, così come un campo di recente bonificato non poteva venir subito coltivato; a volte, anzi, lo si lasciava incolto per qualche tempo ed il suo unico uso era quello di adibirlo a pascolo.

Scorrendo, infatti, la serie degli appellativi della citata «Stima», troviamo i cosiddetti «Prati» e il «Pradone» (evidente accrescitivo del primo, secondo il dialettale «pradòn). Questi appezzamenti di terra erano situati alla destra del Canai Bianco in unione ai «Dossi». Negli anni 1860/’65 essi erano ancora in gran parte incolti e venivano adibiti al pascolo delle bestie. «Dosso» (da cui poi «Dosso Marianti», a sud del nuovo cimitero) è una parte di terreno emergente rispetto a quello circostante. Lungo i dossi si formarono le prime piste transitabili che il più delle volte seguivano il tracciato dei numerosi canali di scolo. Nel nostro caso veniva denominata «Dosso», o anche «Dossi», quella lingua di terra che aveva i suoi confini a nord con l’argine destro del Canal Bianco, a est con la strada del cimitero, a sud con lo scolo detto la «Fossetta»  e a ovest con i terreni del Fienilone, di proprietà della Società Bonifiche Ferraresi.

I «Dossi» vennero comple­tamente bonificati successivamente al 1862; una parte di essi era però produttiva e coincideva con una stretta zona di terra costeggiamo l’arginatura destra del Canal Bianco. Sul finire del 1700 il territorio di valle era denominato «Valli di Saravalle sotto Ariano» così come risul­ta dalla carta riportata sotto la numerazione 19. Anche questo territo­rio vallivo, dipendendo dalla giurisdizione di Serravalle, e quindi sotto la cura parrocchiale d’Ariano almeno fino al 1818, era compreso nella diocesi di Adria.

«Andrione» invece, dovrebbe trarre la sua origine dall’italiano «androne» che indica il terreno compreso fra due filari di viti.

Il fondo «Loghetto», la cui decima era stata commutata nel 1862, trent’anni prima della «Stima» dell’ing. Cugini, era costituito da un appezzamento di terra pari a circa sei ettari, confinante a nord con le proprietà Chiavieri e Giglioli, a est con la strada dei Grandi, a sud con lo scolo Re dei Fossi, a ovest con le proprietà Mantovani, Chiavieri e Frizzati. «Loghetto» è un diminutivo di «luogo» e starebbe, oltre che per «piccolo luogo» – cioè poco esteso – anche per «piccolo podere»; infatti, nel linguaggio del tempo «luogo» e «piccolo podere» indicava­no la stessa cosa.

Da «Loghetto» trae poi origine il nome del piccolo borgo ai piedi dell’argine del Po di Goro, il «Ghetto», .diviso a sua volta in «Ghetto piccolo» (italianizzazione del volgare «ghitìn» e anche «ghetìn») e «Ghetto Grande», i quali – fra l’altro – sono strettamente confinanti con il «Loghetto». Queste denominazioni .derivanti l’una dall’altra, nate con ogni probabilità fra il secolo XVIII e il secolo XIX, sono in parte spiegabili anche col fatto che la campagna serravallese è ricca di questi piccoli agglomerati rurali i quali, anticamente, erano provvisti di un podere più o meno esteso e di proprietà della famiglia padronale. Vedremo più avanti come gran parte della zona posta in prossimità di Ponte Giglioli un tempo fosse proprietà delle tre confraternite della chiesa d’Ariano Polesine che l’aveva concessa a livello a diverse famiglie.

Il fondo «La Mussàra», alla data della «Stima» (1891), era proprietà di Pietropoli Comingio di Francesco e la sua superficie era di poco superiore ai 2 ettari. Confinava a sud e ovest con la proprietà di Pietropoli Francesco – il famoso «sior Checo» da cui prese il nome il ponte, ora in muratura, della strada che da Serravalle conduce ad Ariano costeggiando il Canal Bianco – a nord con quella di Antonio Carini e a est con la strada pubblica e le possessioni Patrignani. Stando così i confini, è da presumere che la «La Mussàra» fosse in realtà più spostata ad ovest di quanto noi ora crediamo, e cioè comprendesse la lingua di terra che va dall’inizio di via de’ Grandi fin quasi al menzionato ponte, non già le possessioni di qua e di là dall’attuale via Verdi. Il nome «Mussàra» sembra indicare, così come vuole la tradizione orale di parecchie generazioni di Serravallesi, il luogo dove pascolavano i «mussi», cioè i somari. Ipotesi attendibile giacché nel 1891 il fondo era stato da poco trasformato in orto.

Il «Brollo» è invece il terreno che, assieme alla «Brajola», faceva parte della possessione del sig. Filippo Pivanti del fu Giorgio. I due terreni, assieme, confinavano a nord e ovest con le ragioni Biolcati Francesco, a est con Turati, a sud con il Rè dei Fossi. Il «Brollo» deriverebbe dal celtico «brògilos» ed in italiano si trovano pure altri due termini, e cioè «broilo» e «brucio». Oltre ad indicare specificamente un piccolo bosco recinto, «Brollo» ha pure i significati di giardino, orto e verziere o, più in generale, di luogo alberato. Mario Zucchini nel suo libro L’Agricoltura ferrarese attraverso i secoli, Roma, 1967, p. 186 e segg., fa presente che la coltivazione di piante fruttifere veniva esclusivamente praticata nei cosiddetti «brolli» di campagna o, in città, negli orti esistenti all’interno delle mura cittadine. Insomma, il «Brollo» doveva essere, citando il Chendi, un «comprensorio di fruttari», cioè una specie di frutteto di casa, posto in luogo elevato rispetto al terreno finitimo, circondato da fossi di scolo e da un eventuale recinto.

Veniamo ora ad alcune possessioni e luoghi la cui origine e descrizione non risulta evidenziabile della «Stima» del 1891, bensì da atti di investitura livellarla ritrovati nell’Archivio della chiesa parrocchiale di Ariano Polesine (Rovigo). Di tali terreni solo alcuni passarono col tempo a decima, gli altri ne erano e ne sono tuttora esclusi.

Fin dall’anno 1682 le tre confraternite del SS.mo Sacramento, della Beata Vergine del Carmine e del SS.mo Rosario erette nella chiesa arcipretale di Santa Maria della Neve in Ariano Polesine, possedevano una campagna parte arativa, parte pascoliva e parte valliva situata nel territorio di Serravalle, denominata «Giocola», della superficie di stara ferraresi 285 con casa rusticale e fienile di canna, ereditata per disposizone testamentaria dal fu Antonio Broglio. Solo dal documento del 9/11/1691 «Emptio d. Simonis Bonifatii a DD. Anna Grandia Lanzona et Cattarina Grandia Novara» (Archivio parrocchiale di Ariano Polesine, p. 102 (retro) fino al 107, e 107 (retro) del libro dell’amministrazione) si può capire il perché la Giocola sia così chiamata. La spiegazione sta nel fatto che essa appar­tenne in origine al sig. Leonello de’ Giocoli (o Giocoli!) e quindi ai suoi diretti eredi.

Ma, come si vedrà nella appendice, il Leonello de’ Giocoli fu solamente colui che gli atti ci trasmisero come il più famoso della sua schiatta investito nel fondo che dal suo cognome prese il nome, e come colui che risulta più nominato negli atti dell’Archivio di Ariano Polesine. Il fondo passò in seguito ai Bonifazio e quindi ai Grandi ed ebbe a subire non sempre felici vicende tanto che nell’atto sopra citato si descrive la possessione come costituita da una «casa murata, cupata et solarata modo ruina mirante, ut apparet ex actis domini Athanasii Baldi cum pauco terreno subiectum [!], arativo, arborato et vitato cum aliis suis iuribus et attinentiis positis in Villa Saravalis Ariani districtus, confìnans ab uno capite cum Padii [!], et alio capite Andrea de Cristi, uno latere via Consortivam [!], et alio latere ill.mo Co.: Alfhonso Bevilaqua cum praedio noncupato la Cre-palda (…)».

Verso la fine del XVIII secolo le parti di proprietà delle tre confraternite vennero unite con decreto datato 12 dicembre 1767 del vescovo d’Adria mons. Arnaldo Speroni e concesse a titolo di livello perpetuo al sig. Domenico Turatti detto «Benissimo» per la corresponsione annua di livello di scudi romani 34, baiocchi 24 (che – a sua volta – veniva divisa per ciascuna delle tre  confraternite nella misura di scudi 11, baiocchi 41 e denari 4: si veda al proposito il rogito del 19/12/1767 del notaio Antonio Maria Monti Sansilvestri di Ferrara).

Successivamente le confraternite vennero soppresse e i loro beni avocati dal Regio Demanio di Ferrara, tranne quelli spettanti alla cessata confraternita del SS.mo Sacramento che furono assegnati al benefìcio della chiesa parrocchiale di Ariano e fra i quali vi era la terza parte di diretto dominio della campagna «Giocola». Gli eredi del pri­mo investito, Signor Domenico Turat(t)i, non solo non pagarono fino a tutto il 1831 gli annui canoni così da risultarne una somma ingentissima pari a lire austriache 655, ma non soddisfecero neppure gli obblighi del pagamento delle imposte prediali e delle tasse consorziali tanto che i Ricevitori erano stati più volte sul punto di procedere alla vendita della campagna con il mezzo dell’asta pubblica. Vi si aggiunga anche il fatto che venivano trascurate le coltivazioni tanto da andarne in deperimento i terreni e, con la scarsa manutenzione degli immobili, la stessa casa rusticale. Al Demanio successero nella proprietà della «Giocola», come parti cointeressate (in unione alla Fabbriceria della chiesa d’Ariano Polesine) le RR. MM. Cappuccine di S. Giovanni Battista di Bagnacavallo per una terza parte e per l’altra terza parte il vescovo di Cervia (e per esso la chiesa di S. Maria degli Angeli in Villa Canuzzo come assegnataria del vescovo e rappresentata dal M.R. don Gerolamo Neri, economo della citata chiesa).

Di concerto le tre parti decisero di chiamare in giudizio davanti al Tribunale Civile di Ferrara i coniugi Turatti per ottenere il pagamento del debito, e per il rilascio della campagna. Ottenuto quanto richiesto, con la emissione del decreto del tribunale ferrarese in data 19/8/1833, con il successivo atto di immissione nel possesso della campagna «Giocola» reso esecutorio dal Cursore Giurato del Tribunale il dì 4/11/1833, la Fabbriceria della chiesa di Ariano si preoccupò di trovare al più presto una persona idonea cui concedere a livello perpetuo la terza parte della campagna stessa. Nello stesso tempo la contessa Carolina Cicognara, vedova Giglioli, avanzò richiesta per essere investita nel livello, offrendo il canone annuo di scudi romani 8 pari a lire austriache 50.

Il Regio Governatorato di Venezia richiese una perizia che venne compiuta dall’ing. Giovanni Paolo Calzoni a’ termini del decreto 23/10/1834, n, 38198 e, sulla scorta delle risultanze, autorizzò in data 10/11/1834 con lettera n. di prot. 2835 la Fabbriceria a stipulare il contratto di livello perpetuo. Ma si richiedeva, nel contempo, l’assenso alla stipula pure per la contessa Cicognara-Giglioli, la quale l’ottenne due anni dopo con il decreto 23/12/1836 del Tribunale Civile di Ferrara.

Il contratto di investitura livellaria venne stipulato 1’8 marzo 1837 presso la R. Pretura d’Ariano e con esso si concedeva in livello alla nobildonna la possessione «Giocola», divisa in due corpi separati l’un dall’altro. Il primo della superficie di 189,30 stara ferraresi, pari a 205,00 pertiche censuarie, vicino al Po d’Ariano e poco distante .dal passo di Santa Maria (“).

Sempre dalla perizia Calzoni vediamo ora la descrizione della casa e quella relativa alla seconda parte di terreno al di là del Canal Bianco:

«Nell’angolo di ponente-tramontana, perciò vicino all’Argine del Po, è situata l’unica Fabbrica appartenente a questa proprietà. Questa casa a cui s’attacca in ponente quella del confinante Turati, è composta di due camere a pian terreno, due a solare, e due ad uso di grannaro, e tutto di muro coperta a coppi, ma per la mancanza totale delle impo­ste alle porte e finestre, per lo stato rovinoso dei due solari e perché il tetto non le difende bene, dalla pioggia avendo dei coppi rotti, non sarebbe assolutamente abitabile senza una preventiva spesa rilevante di indispensabile ristauro (omissis).

Il secondo corpo di terreno è situato a ponente del primo, ma alla sponda destra del Canal Bianco è denominata Valle Giocola, ed è formato in figura di esteso quadrilungo avente i maggiori due lati paralleli; esso è della quantità superficiale di Stara n. 93,222 pati a pertiche censuarie n. 103,66 e confina a levante cogli eredi di Domenico Folla; a mezzodì collo scolo pubblico detto il Contarmo oltre il quale li Nobili Signori Conti Giglioli, a ponente con Carlo, Giovanni e Paolo zio e nipoti Turatti Benissimo, e finalmente a Tramontana gli stessi congiunti Turatti Benissimo, con poco terreno fino sul Canai Bianco.»

La valle Giocola si presentava allora in gran parte come valle da canna, palude e, per il resto, pascolo. Il 29 marzo 1828 la contessa Carolina Cicognara-Giglioli otteneva il livello della parte della chiesa di Canuzzo per mezzo del rogito Ingoii, e sempre lo stesso giorno otteneva l’investitura della rimanente parte dalle Cappuccine di Bagnacavallo con rogito dello stesso notaio. Con rogito Sturatti del 19 febbraio 1851 quest’ultima parte venne affrancata, come pure vennero affrancati i rimanenti due terzi nel 1887 per opera degli eredi del conte Giuseppe Giglioli al quale erano pervenuti in eredità dal fratello conte Luigi, entrambi figli della nobildonna.

Dopo di che, le vicende della «Giocola» diventano troppo recenti per risultare in qualche modo interessanti. Basti però dire che nella «Stima» della decima, troviamo l’orto «Benissimo» di proprietà del conte Giglioli soggetto a decima. Sarebbe stata inutile ogni congettura sulla denominazione di questo appezzamento se non si fosse scoperto nell’Archivio di Ariano Polesine che «Benissimo» era solamente il soprannome col quale veniva chiamato Domenico Turatti primo investito nel livello del fondo «Giocola».

Ma la ricerca svolta ad Ariano ha permesso di saperne di più circa altre possessioni e luoghi del territorio serravallese. Significativo, ad esempio, il documento: «Emptio census prò venerabilibus Confrater-nibus SS. Sacramenti et Rosarii terrae Ariani a Dom.co Jo. Bapta et a Matteo Fratribus de Bonfennum ab Ronchinis» datato 26 novembre 1692 con il quale si passa il censo di livello delle cosiddette «Montagnole» in luogo detto «Seravalle», comprese fra i confini «da un capo la possessione chiamata Giocola, dall’altro capo il Canal Bianco, da un lato il Conte Gio. Giglioli con una via morta e dall’altro lato Giov. Bonfenno» da un livellarlo all’altro per l’importo annuo di scudi romani 74, baiocchi 66 e denari 8. Tenendo presente i confini citati dal documento il terreno è approssimativamente individuabile immediatamente a sud della possessione Giocola, all’incirca nella zona che oggi viene detta del «Livello», Per quanto riguarda la «Griffa», bisogna arrivare al 23 dicembre 1720 per capire finalmente il perché tale possessione si chiami così.

La denominazione «Griffa», come quella di «Giocola», deriva dal cognome di un livellarlo. Già il Penna nelle sue carte corografìche datate 1662 (vedi carta n. 2) riporta la denominazione del luogo e possessione della «Griffa», cui si accedeva dall’argine del Canal Bianco attraverso uno stradone il cui tracciato è nettamente individuabile nella carta. Nell’atto del 1720 risulta investito nel livello della «Griffa» il signor Ippolito Griffe di Mario, a favore della confraternità del Santissimo Sacramento di Ariano Polesine (“). La possessione consisteva in un «Casale con una parte di casa murata, cupata e soletata posta nella Villa di Serravalle Giurisdizione della Terra d’Ariano».

Casale consistente «in un portico e camera a terreno e di sopra alla detta camera un’altra camera a solare, murata con muraglie in certi siti aperte e con coppello in tave tutto cadente e parte in grisola con sellare della camera roto e soto detto portico una poca parte con tolle ammarcita e con una scalla per andar nella camera suddetta e sellare fatta di pietre sopra pontelli di legno». Ecco i confini della possessio­ne: da un lato il terreno di Carlo Antonio Patergnani, dall’altro lato il terreno del marchese Bevilacqua e con pane di terreno dello stesso Griffe. B terreno, allora, si presentava in parte «arativo, sabionivo, con pioppelle e pochi saliceti ottenuti con qualche piede di ritta giovine e tenuta». La possessione «Griffa», alla data del documento, risultava di circa 6 staia ferraresi.

Per altri luoghi, i documenti consultati si limitano alla generica citazione «beni posti in territorio d’Ariano in luogo detto Saravale». E il caso degli atti che riguardano i fratelli Valleri, Giovanni de Venevi, la famiglia Durati, il possidente Giuseppe Boscarolo, i primi tré del 1678, il quarto del 1727. E certo che tali possessioni non andavano oltre i confini dei terreni soggetti alla decima abbaziale, costituita dai Giglioli nei terreni di loro proprietà, decima che veniva percepita dall’abate per il mantenimento suo e per la manutenzione del sacro edificio. Di ciò si è già riferito a sufficienza nelle pagine precedenti. In altri atti del Libro Catasto si nominano i terreni ed i luoghi che venivano dati a livello. Di alcuni di essi è stata variata col tempo la primitiva denominazione sicché risulta difficoltoso individuarli e collocarli nell’attuale toponomastica.

E il caso del terreno e del casale denominato il «Botazzo» per il quale si potrebbe pensare all’attuale possedimento denominato «Botte» situato poco prima di Ariano Ferrarese; meno probabile invece il riferimento alla «Botte Crepalda» in prossimità del Ponte Crepalda sul Canai Bianco, a lato della strada provinciale per Ariano, e meno ancora alla possessione «Le Botticelle» in territorio serravallese fra il Fienilone e Ponte Albersano. Peraltro, di uno o più terreni che erano stati posti a livello è rimasto solo il termine «Livello» a conferma della loro origine. Considerando poi i terreni privi di alcuna denominazione di cui si parla nelle note 10 e 17, è probabile che uno o più di essi, date le ridotte dimensioni, fossero collocati proprio nella zona dell’attuale «Livello».

Un’ultima parola è bene spenderla per la tenuta «Crepalda» e per la zona «Grandi». In alcuni documenti ritrovati nel Catasto 1659 «Instrumentum…», si parla della tenuta Crepalda in possesso dei marchesi Bevilacqua fin dalla fine del 1600. Di essa non si conosce l’origi­ne del nome, ma è da credere – come nel caso della «Giocola», dell’appezzamento «Benissimo», della «Griffa» e di altri luoghi – che esso derivi dal cognome o dal soprannome degli originari proprietari o di chi l’aveva in enfitèusi, presumibilmente di una certa famiglia Crepaldi. Ciò che la consultazione degli archivi ha confermato è che verso la fine del ‘600 e per buona parte del ‘700, fino a che essa non venne acquistata dalla famiglia Pivanti, la «Crepalda» era in possesso dei Bevilacqua. Tali marchesi, proprio nel periodo in parola – non se ne conoscono le ragioni – esercitavano anche il gius-patronato sull’abbazia di Serravalle al posto dei Giglioli, con diritto di presentazione degli abati al vescovo per la nomina ed immissione nel possesso. Lo prova l’atto di nomina dell’abate Schiavi (1761) di cui si parlerà più a fondo in altra parte di questo libro.

Veniamo ora alla località «Grandi». Per quanto si sa, la famiglia Grandi e originaria di Ferrara. Alcuni suoi componenti ebbero l’investitura nel livello di terreni e casali posti nella zona di territorio serravallese anche oggi denominata «Grandi», cui si accede tuttora dal centro o attraverso la strada pubblica detta appunto «dei Grandi», in prossimità del Canal Bianco. Una parte del terreno è nominata nella «Stima» dell’ing. Cugini del 1891 come «Vidara». A metà dell’Ottocento la zona «Grandi» appartenne ai Biolcati, a Francesco Pietropoli, a Giuseppe Marangoni (vedi rogito 15/12/1859 rep. 616 del notaio Giovannelli Gaetano «Divisione seguita tra li Signori Giuseppe, per una parte, e per l’altra Antonio, Gaetano, e Pietro zio e nipoti Biolcati di Serravalle»).


Informazioni tratte dal libro di Giovanni Raminelli “SERRAVALLE- Profilo storico di un paese della Bassa Ferrarese

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