mercoledì, Maggio 15, 2024
Storia

LA BONIFICA DEL TERRITORIO

LA BONIFICA DEL TERRITORIO

Abbiamo già visto come il Po, fino al momento in cui deviò il suo corso a causa della grande rotta di Ficarolo, non passasse per questi luoghi. Il suo vagare in cerca di un letto stabile sino al mare ed i continui fenomeni di impaludamento dovuti all’abbassamento della crosta terrestre e alle numerosissime intumescenze, contrastarono nei secoli l’opera di redenzione del territorio. Le tracce di vita romana rinvenute nei numerosi scavi eseguiti soprattutto nel corso dell’allargamento della Fossetta di Fiumana e lo scoprimento di strati torbosi ad una grande profondità (circa 50 metri), fanno presumere che, in tempi assai lontani, il territorio ora denominato Grande Bonificazione Ferrarese fosse emergente dalle acque, ricoperto da una folta vegetazione e popolato da animali e dall’uomo.

Nel 1464, durante la dominazione estense, il marchese di Ferrara e duca di Modena, Borso, si recò ad Ariano per esaminare “in loco” come “provvedere et riparare alli danni che riceve il Polesine di Ferrara per cagione delle acque”. Dopo otto anni, il Comune di Ferrara incaricò una commissione di giudici d’argini (ingegneri) di studiare l’opportunità di liberare questi luoghi dalle acque; e, nel 1499, a Codigoro si affidava l’opera di una parziale bonificazione delle valli Malea e Valcisana ad un certo Taruffi, prowisore della Curia ducale.

Si sa che questi primi tentativi di prosciugamento a ben poco portarono. Solo nel 1559 il duca Èrcole II d’Éste si dichiarò disposto ad iniziare l’opera di bonifica assicurando al Giudice dei Savi d’aver reperito i mezzi per intraprenderla; cosa questa che si verificò cinque anni più tardi sotto Alfonso II.

Quella che viene denominata “Bonificazione Estense” già nel 1580 era un fatto compiuto. Dopo l’incarico ad un certo Isidoro del Portello, nobile padovano, che rinunciò successivamente all’impresa decadendo dalla concessione, vi si impegnarono il conte Nicolo Estense-Tassoni ed un gruppo di banchieri lucchesi, nobili veneziani (i Contarini) e lo stesso duca Alfonso II. La spesa sostenuta fu enorme per quei tempi: oltre 100.000 scudi. Il conte Battista Giglioli, capitano delle terre d’Ariano e cassiere dei bonificatori, riferiva nel 1570 che fino a quella data erano stati spesi in soli movimenti di terra ben 6500 scudi.

Ma nonostante gli sforzi profusi ed i risultati ottenuti la bonifica estense era destinata a crollare. Dopo il taglio di Porto Viro, voluto dai Veneziani per salvare dall’interrimento provocato dal Po la laguna veneta, dopo il notevole abbassamento del suolo avvenuto in quegli anni e l’immissione nel Po di Volano del Reno, fecero sì che ben presto le acque riprendessero il dominio del polesine di Ferrara.

Non va dimenticata poi l’opera devastatrice delle frequenti rotte del Po che intensificarono i danni del progressivo impaludamento e favorirono la formazione di grandi valli in terreni che prima erano stati resi fertili. Basti pensare che nel 1784 mentre si procedeva alla elaborazione di un nuovo estimo dei terreni della bonificazione solo 13.087 ettari venivano classificati come coltivabili a cereali ed in parte a canapa, mentre il restante territorio era citato come prato, pascolo o valle da canna, ed in particolare quest’ultima era estesa per oltre 26.000 ettari.

Nel 1820, tre anni dopo il Motu Proprio di Pio VII che modificò le circoscrizioni idrauliche di tutto lo Stato Pontificio, l’antica bonificazione estense venne chiamata a far parte, coi terreni alti di Ferrara e Bondeno, della Congregazione Consorziale del 1° Gran Circondario Scoli con gestione finanziaria separata dall’amministrazione dei primi.

Dopo i coraggiosi ma sfortunati tentativi di bonificazione meccanica parziale del 1856, patrocinati dal conte Francesco Aventi, e dopo lo scioglimento della Società Aventi (avvenuto con Regio Decreto 2 agosto 1868), in Londra si formò una società che sotto il titolo di “Ferrarese Land Reclamation Company Limited” si riprometteva di eseguire la bonifica. A questo organismo si aggregarono nel 1872 la Società Italiana dei Lavori Pubblici di Torino, la Banca di Torino e la Banca U. Geisser & Comp., fondando così una nuova società che prese il nome di “Società Italiana per la bonificazione dei terreni ferraresi” S.B.T.F.), approvata con Regio Decreto 22 dicembre 1872. Acquistati ben 22.000 ettari, già nel 1874 le macchine idrovore cominciarono a funzionare; ma i lavori erano iniziati verso il 1873, cioè l’anno successivo alla rotta di Guarda a causa della quale molta parte del territorio ferrarese e quindi della bonificazione, era andato sommerso. Si concentrò in Codigoro, in un unico stabilimento presso il Volano, tutta la torza meccanica (otto poderose pompe, quattro grandi motrici e dieci caldaie) mentre dal 1875 al 1880 si compirono i lavori di canalizzazione grazie ai quali furono scavati ed approfonditi 170 chilometri di cauli fra nuovi e vecchi.

Finalmente il 17 ottobre 1880 l’opera, collaudata, venne dichiarata compiuta.

Sorgevano, contemporaneamente, i numerosi problemi della manutenzione e del mantenimento degli impianti, e non ultimi quelli relativi all’aggravamento della condizione generale dei terreni di bonifici dovuto al progressivo abbassamento del suolo. Tuttavia, il territorio della Grande Bonificazione Ferrarese, mutato l’aspetto, poneva all’attenzione tutta un’altra serie, non meno importante, di problemi derivanti dalla colonizzazione, dai notevoli lavori di trasformazione fondiaria e dal bisogno di promuovere un pur necessario processo di industrializzazione che “per il ferrarese, era rimasto limitato a pochi prodotti”.

La grande proprietà terriera, in genere di origine feudale, sullo scordo del XIX sec. era in via di estinzione. Perdurava, nel territorio della bonifica e in quelli adiacenti, quella nobiliare d’origine, per così dire, pontificia, la quale però si confondeva ormai sempre più con quella borghese saltata alla ribalta dopo il periodo della dominazione francese. Subito dopo l’unità italiana, aveva avuto un notevole sviluppo la grande proprietà capitalistica, identificantesi in grandi società azionarie e in banche,

Nettamente individuabile era stato (…) il processo della proletarizzazione, che era stato sempre più vasto e percettibile, esaltato dagli interventi capitalistici. Le conseguenze perturbatrici di questo fenomeni si dovevano poi rendere ancor più palesi con le agitazioni operaie che esploderanno verso la fine del secolo.

Il proletariato agricolo avventizio e salariato, verso la fine del sec. XIX cominciò ad organizzarsi e ad agitarsi con violente manifestazioni per rivendicare un migliore trattamento economico e per la modifica dei patti di lavoro. La sua pressione si fece particolarmente sentire nelle terre di recente conquistate all’agricoltura”.

La crisi agraria che si protrasse dal 1882 al 1884 non mancò di colpire negativamente le iniziative della bonifica e dissestò in maniera considerevole gli imprenditori più audaci. Si restrinse l’area delle colture più impegnative e di conseguenza si allargò quella delle colture pratensi. Ciò non mancò di causare un grande fenomeno di disoccupazione.

“Intanto andava al potere la Sinistra, più suscettibile di iniziative che potremmo chiamare di intervento economico: urgendo la crisi agraria, venne promulgata nel 1882 la legge Baccarini sulla bonifica, che prese a carico dello Stato il 75 per cento dell’onere delle opere bonificatorie, dando un forte impulso alle opere stesse anche per lenire la disoccupazione. Ciò non mancò di creare nuovi problemi sociali e proprio nel Ferrarese si ebbe una stagione di grandi scioperi agrari sulla fine del secolo”. 

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