sabato, Luglio 27, 2024
Storia

LE ROTTE DEL PO CHE INTERESSARONO SERRAVALLE

Le rotte del Po che interessarono Serravalle

Se si vuole avere la giusta dimensione storica nella quale inserire la vita e le vicende della nostra zona e, in particolare, di Serravalle, bisogna far riferimento alle numerose rotte del Po, che influirono sull’assetto idraulico e territoriale.

Prima di trattare, ovviamente nei limiti concessici dalle documentazioni esistenti e reperite, delle rotte del Po, e più dettagliatamente di quelle che interessarono nel corso di vari secoli il tronco che va da Cologna ad Ariano, si ritiene opportuno fornire al lettore alcune notizie che lo aiuteranno a comprendere meglio il discorso che seguirà.

Il Viganò, citando Paolo Diacono, afferma che già nel 589 uno spaventoso diluvio d’acque abbattutosi sulla Venezia, sulla Liguria e su altre province d’Italia, provocò lo sterminio di possessioni, ville, uomini, animali. Per quanto concrne in particolare il Po, si sa che nel 1152 (o 1131) esso si ramificò a Ficarolo, a causa di una grande rotta dell’argine sinistro che procurò l’allagamento dei territori di Adria e Rovigo, arrivando finanche sotto le mura settentrionali di Ferrara. Il nuovo ramo che ebbe a formarsi, e attraversò tutta la regione veneta

nella sua parte inferiore, fu detto “Po di Venezia”. Questo ramo del Po si divise ulteriormente di fronte a Serravalle, costituendo l’Isola d’Ariano. Vari autori riferiscono che la divisione avvenne alle Papozze, in realtà avvenne invece a valle del paese. L’inesattezza e foop dovuta al fatto che Papozze era già in anni remoti notevole centro. di gran lunga superiore per importanza e per abitanti a Serravalle. E’ probabile quindi che, affermando esseri il Po diviso a Papozze. si sia voluto localizzare il fatto accanto al centro più noto immediatamente più vicino alla biforcazione. Lo storico di cose ferraresi U. Malagù è dell’idea che la biforcazione del fiume nei rami di Venezia e di Goro si sia stabilizzata col passare degli anni più a monte di 4 chilometri. L’Autore ne deduce che il paese di Serravalle si fosse colà insedialo. Si trovano però altri autori attendibili che citano rotte ed alluvioni interessanti Serravalle, avvenute per scolmamento o per frantumazione degli argini del Po di Venezia, e non di Goro, pertanto si può ritenere storicamente provato che Serravalle sia sorto lungo gli argini del Po di Venezia. A sostegno della nostra tesi aggiungiamo il fatto che, già alla fine del secolo XVI, nell’attuale luogo in cui sorge il nostro paese, vi erano già una chiesa ed il nucleo abitato denominato appunto “Serravalle”. Centro che non sorge lungo il corso del Po di Goro ma circa all’altezza di Papozze, lungo le arginature del Po Grande, un tempo detto di Venezia, mentre l’attuale ramo di Venezia era detto “Po delle Fornaci”. Se uno spostamento si è verifìcato nella biforcazione, deve essere stato certamente di ridotte dimensioni. Infatti carte molto antiche e quelle che in particolare abbiamo voluto riprodurre in questo volume, individuano già la biforcazione nell’attuale luogo. Per quanto riguarda lo spostamento del paese più a monte di circa quattro chilo

metri, è una ipotesi questa tutta da provare, anche se a suo favore potrebbe concorrere il fatto che gli insediamenti primitivi erano costituiti da qualche tugurio, facilmente ricostruibile in luoghi asciutti e produttivi, cioè meno soggetti alle frequenti rotte.

Ma veniamo alle rotte.

A parte quella determinante di Ficarolo, già citata, le prime notizie di rotte in cui si menziona Serravalle bisogna ricercarle in lavori di vari autori. Il Bottoni, citato dallo Zucchini, riferisce che nel secolo XIV si verificarono otto grandi rotte, di cui quattro nel Po di Venezia e quattro nel Po di Volano. Nel secolo XV furono in totale nove, più una nel Po di Primaro. Nel secolo XVI le grandi rotte salirono addirittura a ventidue (diciassette nel Po di Venezia, tre nel Volano, le rimanenti due nel Primaro) provocando disastrose conseguenze a tutto il regime idraulico del ferrarese e mettendo a dura prova i proprietari terrieri ed i lavoratori, questi ultimi costretti a subire le conseguenze di così gravi avvenimenti.

Nel secolo XVI, cioè negli anni in cui si hanno le prime notizie di rotte che interessarono il tronco Cologna-Ariano, se ne verificarono due: nel 1536 a Berra, e nel 1569, a Cologna.

Ovviamente le acque, rotti gli argini, rovinarono sui terreni sottoposti, disperdendosi per le valli vicine “e per di là gettandosi nel mare”, interessando quindi più o meno violentemente anche il territorio serravallese.

Ma in quel periodo, oltre alle rotte del grande fiume, quelle popolazioni dovettero subire i danni del terremoto del 17 novembre 1570, che “perdurò con spesse scosse per 9 mesi, proseguì a farsi sentire fino al 1574, né cessò affatto che nel 1591!>>.

“… Scorsi però questi anni, le rotte ritornarono a danneggiare il territorio. Così nel 1576, alli 8 novembre, ruppe il Po di Venezia in sulla destra e in due luoghi, restando abattuti gii argini di Serravalle e di Palantone.

Rialzati però tantosto (atteso il pericolo che correva la città) rovesciaronsi quelli di sinistra a Carotalo, ed al Saraceno, sul territorio di Rovigo.

Parve allora che il Governo Ducale volesse accingersi a grandi lavori, prender serie precauzioni, ed imporre a se stesso i più costosi sacrifici per la salvezza delia Provincia. Molte gride furono pubblicate in questo tempo, e molto si parlò di grandi e generali progetti pel rinnovamento delle arginature di Po. Il denaro però mancava; e forse più di questo, mancavano gli uomini capaci di compierli, e di assumere la direzione dei lavori. Più che a novelli impianti si sarebbe dovuto attendere al mantenimento degli esistenti, che per l’intanto si trascuravano! Non più tardi infatti dell’anno susseguente (1577) il Po ruppe a Serravalle, e mentre il Duca moveva guerra ai Bolognesi, per contesa di poche acque in Primaro, sommergevansi nel novembre 1579 ad Occhiobello e a Carbonara, vicino ai confini Mantovani e Modenesi, le più fertili campagne della transpadana ferrarese>>.

Così si ebbero due rotte in due anni. Immagini il lettore le condizioni di vita in cui si trovavano i nostri antichi compaesani. Tragiche paure, malattie, epidemie che si aggiungevano all’estrema generalemiseria di una popolazione ricca solo di una grande rassegnazione.

Così, una successiva rotta del 1585 a Fossasamba interessò il nostro territorio, ed un’altra ancora nel 1595. Nuovamente il Bottoni ci illumina su come le popolazioni del nostro territorio potevano trovare scampo nella imminenza delle rotte:

“… E a notarsi che in questa come nella rotta antecedente del 1577, e nella successiva del 1595, gli abitanti si salvarono sulle quore. Galleggiavano queste sulle acque, ed erano di tale spessore da poter sostenere più centinaia di persone, nel- tempo stesso che servir a pascolo di animali”.

Le “quore” (è più corretto sostituire però alla q la lettera c in quanto il vocabolo deriva dal latino “corium” = prato galleggiante; da non confondere con “corium-ii”, n., che indica: cuoio, pelle) da cui prese il nome la località “Cuora” di Serravalle, situata circa a metà strada fra il nostro paese e Le Contane, erano territori così ricchi di torba da galleggiare a lotti immensi sulle acque. Con la bonifica della valle, esse si adagiarono stabilmente a formare alcune zone in rilievo denominate “dossi” (i quali, fra l’altro, corrispondevano pure alle zone immediatamente vicine ai canali di scolo) sui quali, poi, si costituirono anche buona parte dei nuclei abitati di valle.

Nel 1592 una rotta allagò “i fertilizzati campi ed altre frazioni comunali circostanti”. Ma l’avvicendarsi dei funesti eventi delle rotte non aveva ancora termine.

La rotta di Berra dell’anno 1595 e poi la seguente del 1596 sempre in quel luogo, metteva in gravissimi disagi gli abitanti del nostro territorio ed è da pensare che solo l’impossibilità di cambiare la propria condizione, il desiderio di rimanere nei luoghi natii e l’attaccamento alle povere dimore – luoghi segreti, unici testimoni dei loro quotidiani enormi sacrifici – non abbia scoraggiato quegli uomini.

Anzi sembrava che le difficoltà irrobustissero la determinazione di non arrendersi e, grazie alla loro tenacia, il paese potè risorgere ogni volta dallo spettro di così terrificanti disgrazie che distruggevano i già miseri raccolti e gran parte degli edifici.

Dopo un lungo periodo di stasi, Serravalle fu nuovamente da due crisi provocate da una carestia e da una rotta in “Trombona”.

Così scrive il Bottoni:

“— 37 — Finalmente per quella strana coincidenza di più disgrazie a una sola volta, che afflisero mai sempre la nostra Provincia, urna nuova rotta fu segnalata nel Po, nel maggio 1686, alla Trombona: nel momento appunto che la pestilenza ci minacciava dalla Gorizia, la carestia n’urgeva più davvicino, e le campagne più che dai ladri venivano funestate dai birri, che sotto l’aspetto di inseguire i primi, ne sottomettevano a contribuzioni forzate gli abitatori>>.

Giungiamo così al secolo XVIII.

Nel 1725, a causa di una eccezionale piena del Po, anche la Fossa Lavezzola ed il Canai Bianco divennero gonfi d’acqua tanto da minacciare le campagne ed i centri abitati che si raggnippavano lungo i due corsi d’acqua. Il Governo pensò di tagliare l’argine sinistro dei due canali al fine di far affluire le acque nelle valli vicine non ancora pienamente bonificate. Ma i lavori vennero fortunatamente abbandonati quando diminuì la minaccia, e la piena si scaricò regolarmente in mare.

Nel 1729 il Po rompe a Serravalle e fracassa l’argine per una lunghezza di 150 pertiche (m. 613,2). La gravita del fatto e tanta e tale che si giunge a temere di non essere più in grado di arginare la falla. Lo storico Scalabrini scrive a Ludovico Antonio Muratori col quale è in stretto rapporto epistolare:

<<24 – Ferrara – 21/11/1729:

Dio volesse che potessi camminare da la di lei creduta fangosa Ferrara! Sono 20 giorni che le febbri mi tengono in letto; ma grazie all’Altissimo che dopo il primo male di vomito bilioso ho celebrato 4 giorni, ma, ricaduto, ho passato due buone terzane: la terza doveva venir ieri, ma s’è riguardata! Gran influsso è questo, il mio signor preposto! Si sono malati i medici, parrochi, e lo stesso cardinale ha provate due recidive. La morte poi gli ha levati il cavalier maestro di camera, l’uditor generale della Legazione, un aiutante di camera, ed altri servi più infini; ed egli se la vedeva imbrogliata. Li morti sono oltre numero solito al certo, e gente di qualità la maggior parte e cognita. Io credo al certo che questa sia una specie di contagio; e molte volte sono stato disposto per supplicarla del di lei libretto del governo della peste; poiché stimo che parlerà de’ parrochi ancora ome si debbano regolare. Io me la sono guadagnata per troppa fatica, e dovermi levar di notte in tempo che sudavo con il purgantino in corpo; poiché mi s’erano scoperte certe piccole alterazioni e mi volevo curare come feci l’agosto scorso, il che mi riuscì mirabilmente, ma l’accidente portò che mi fu interrotta la quiete. Supplico V.S. ill.ma pregar 1’Altissimo per me, acciò possa servirla.

Non volendo mancare a quanto si degna onorarmi, poiché li curati della Cattedrale la quale soggiaciono li Teatini e loro vicinanze mi daranno contezza di tal donna, se vi sia stata, o pure se vi sia più al mondo; e di tutto ne darò il dovuto ragguaglio a V.S. ill.ma.

Adesso bisognerà che il Signor Commissario Corradi conducesse gli Bolognesi matematici a veder le ruine del Po, che a Serravalle ha fracassato l’argine in longhezza di pertiche 150, temendosi non si possa più pigliare, e forse tornerà isola i territorio pomposiano; avendo fatto l’anno scorso la Comunità cavare il Goro per scolare i canali del Polesine di Ferrara nel Po d’Ariano e di Volano; già gli Signori Ducali avevano impedito lo sbocco de’ medesimi canali al mare in vicinanzadella Mesola. E per esso cavamento dicono che l’acque precipitano nel Po di Volano di rigurgito, poi l’espansione viene in vicinanza di dodeci miglia dalla città sino a Copparo e Sabbioncello.

Veda la V.S. ill.ma che il Signore si flagella a due mani. Bisogna chinare il capo e starsene cheti, a far penitenza. Mi perdoni lei di quella che le dò in leggere sì mal composta e scritta lettera, poiché dal letto, e mi dia il più giocondo fra tutti i contenti, qual è di ricevere i di lei stimatissimi caratteri; mentre con profondo rispetto mi confermo, e mi dico di V.S. ill.ma”.

Il Muratori risponde:
<<35 – Modena, 25/11/1729:

A me che son lontano, fa venir freddo la sola narrazione de’ tanti disasri, che nel presente anno diluviano sopra la povera Ferrara: ora che farà a voi altri, che siete presenti, e li provate? Il temporale di Trecenta, la scarsezza de’ raccolti, l’epidemia micidiale, erano moltissimo. Vi si aggiunge ora una si’ fiera inondazione, che far?’ poveri tanti e tanti, e che ancor qui si far?’ sentire. Che sarebbe poi, se la rotta non si potesse prendere e durasse una si’ grave mutazione delle cose? Il signore Iddio abbia misericordia a voi altri signori, e a noi ancora>>.

Nonostante la violenza delle rotte e soprattutto di quella del 1729 qualche edificio si salvò. Per esempio la chiesa. Ma la frequenza delle alluvioni e la scarsità degli interventi di manutenzione influirono sulle strutture murarie del tempio rendendone precaria la stabilità, così che negli anni attorno al 1860 esso risultava in tale stato di labenza da esseme proibito l’uso.

Il 7 gennaio 1799 in vari luoghi il Po gelò, ad esempio nei pressi di Cologna “ove i mulini andarono a terra” e tale situazione perdurò per circa un mese, fino al 5 di febbraio, giorno in cui “li molini tornarono in Piarda”.

Nel secolo XIX la rotta del 2 giugno 1872 di Guarda, causò rovine e distruzioni, e l’allagamento di tutta la zona del basso ferrarese. Gli effetti si fecero sentire anche a Serravalle, dove le acque distrussero i raccolti e i possidenti locali non poterono offrire alla parrocchia parte del raccolto della canna per l’acquisto dei banchi della chiesa, che da poco era stata riedificata.

Dopo questo disastroso avvenimento gli argini, grazie agli interventi massicci del governo del Regno, vengono rialzati e fortificati e a Serravalle non si verificheranno altre inondazioni. La popolazione andrà acquistando maggior sicurezza ed il suo numero aumenterà progressivamente con conseguente sviluppo del nucleo abitato. L’impulso delle attività economiche e sociali, dapprima lento e prudente ma via via sempre più ardito e fervoroso col passare degli anni, guiderà al benessere di oggi, non solo sconosciuto ma neppur mai sognato nei tempi passati.

Ma le minacce quasi annuali delle piene, e soprattutto quelle del 1951, del 1976 e quelle del 1977, hanno riportato in discussione la sicurezza idraulica della nostra zona. Così, si auspicano urgenti provvedimenti, oltre a quelli di qualche anno fa che ebbero come conseguenza diretta il rialzo delle arginature di un lungo tratto del Po di Goro e a quello di Venezia, al fine di evitare disgrazie e rovine al nostro e agli altri paesi del basso ferrarese.

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