14 NOVEMBRE 1951: IL RICORDO.
Un evento catastrofico che segno un intero territorio, quello del Polesine, e che rimarrà impresso nella memoria collettiva.
Giovedì prossimo ricorreranno i 68 anni dall’alluvione del Po, che il 14 novembre del 1951 allargò la provincia di Rovigo con conseguenze sul territorio e sulla popolazione che durano ancora oggi.
Quel giorno sulla sponda ferrarese si vissero attimi di terrore. Si parlò di possibili boicottaggi, vere e proprie spedizioni di rodigini sul ferrarese per rompere gli argini. Come dire “Mors tua vita mea”, che significa morte tua, vita mia. Al di là del tono drammatico del senso letterale, esprimeva anche la situazione reale esistente. Ma fu la natura a fare tutto.
LE TESTIMONIANZE. Quel giorno il fiume Po ruppe gli argini a Canaro e Malcantone di Occhiobello, causando morti e devastazioni. Come ogni anno, da quel giorno a questa parte, ci saranno cerimonie, rievocazioni e ricordi.
Nerio Campioni (scomparso da tempo) nel ’51 aveva 25 anni ed era il sindaco di Occhiobello, un protagonista suo malgrado. “Dal 10 novembre la stagione era tremenda – disse – pioveva e il mare non riceveva e il Po aumentava. Interpellai i tecnici del Genio Civile di Rovigo e uno di loro mi disse: “Questa volta non riusciremo a fermare le acque del fiume. Dobbiamo solo aspettare”.
Le ronde controllavano gli argini. Lunedì 12 mi sono alzato e da allora sono sempre stato sul Po, non sono più andato a letto. Il 14 mattina la situazione stava precipitando, alle ore 11 decisi di fare una riunione con gli amministratori del Comune e decidemmo di “dare la laga” con il trattore (veniva “arato” l’argine per alzarne il livello, ndr).
I sacchetti erano pochi e si andava a prenderli con una Vespa a S. Maria Maddalena, ma ne occorrevano tanti. Alle ore 14 aveva già cominciato a tracimare in alcuni punti”.
Campioni decise di dare l’allarme alla sua gente nonostante il parere negativo dell’ingegnere capo sezione del Genio Civile di Rovigo che disse “Lei non può creare il panico”. Il sindaco, dopo aver indossato la fascia tricolore, disse al prete di suonare le campane e fece suonare la sirena.
“All’ingegnere ho detto che da quel momento la situazione era nelle mie mani e ho invitato la gente ad andare sugli argini perché il fiume doveva rompere. Alle 19 sentii il tonfo della rotta. Fu una notte terribile. Cominciammo a portare i primi soccorsi. Il 15 mattina arrivarono in nostro aiuto i barcaioli da S. Benedetto Po e da altre parti”.
Mentre sulla sponda ferrarese succedeva questo. Ecco la testimonianza di Rodolfo Graziani, che allora aveva 8 anni e abitava a Ruina: “Ero sull’argine con mio padre e guardavo cosa stavo succedendo; ad un certo punto, ho visto, dagli alberi, che il fiume stava calando. Mio padre mi strinse la mano e io dissi “Papà, cosa fai, mi fai male”. Mi rispose “Al me putìn, l’ha rott”. Bisognava aspettare per sapere dove. Furono attimi lunghissimi. Eravamo di fronte a Garofalo e ad un certo punto sentii come una mandria di bufali. Mio padre mi disse: “Possiamo andare, ha rotto di là”. I morti furono 91, 84 dei quali nel famoso “Camion della morte” che, carico di alluvionati, cercava di andare in una zona sicura ma che a Frassinelle, vicino a Fiesso Umbertiano, fu investito da una grande massa d’acqua; solo in sette riuscirono miracolosamente a salvarsi.
LA RICOSTRUZIONE. All’epoca nel Polesine era iniziata da poco la ricostruzione Postbellica e si guardava al futuro con speranza ma di trovarono di fronte questa immane tragedia, che imponeva altri interventi urgentissimi con finanziamenti ingenti.
L’emergenza venne superata nel giro di un anno grazie all’azione del governo che inviò in Polesine un commissario nella persona del senatore Giuseppe Brusasca per coordinare i soccorsi e programmare le opere da realizzare. Partì anche un’incredibile catena della solidarietà che coinvolse il mondo intero. Arrivarono aiuti dall’Urss agli Stati Uniti, dalla Corea al poverissimo Afghanistan. Fu una gara che venne poi ricordata con l’intitolazione del piazzale della stazione ferroviaria alla Riconoscenza. L’alluvione del Polesine è ricordata anche come uno dei primi grandi eventi catastrofici seguiti dai media.
La neonata televisione italiana fece i primi reportage filmati, contribuendo alla messa in moto di una delle prime macchine della solidarietà. In Polesine arrivarono giornalisti da tutta Italia, e dal mondo intero, per raccontare quei fatti. Eventi narrati anche dal grande cantore del Polesine, Gianantonio Cibotto.
LO SPOPOLAMENTO Ma se in qualche modo questa seconda ricostruzione avvenne, tuttavia i danni psicologici legati all’alluvione rimasero per alcuni decenni: il Polesine era ritenuta terra insicura. La sicurezza idraulica non dava certezze. Per cui erano rarissimi gli operatori economici che decidevano di investire nel territorio racchiuso tra Adige e Po. E la mancanza di investimenti e quindi di posto di lavoro portò ad una emigrazione di circa 100mila persone che scelsero per loro residenza città e paesi del cosiddetto Triangolo Industriale.
La quasi normalizzazione arrivò verso la fine degli anni ‘60 del secolo scorso.
(racconti e foto tratti da internet)
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