"Posti di lavoro persi". E da quando hanno chiuso gli impianti, sul fiume si sono formate molte isole.
Non soltanto posti di lavoro in fumo: la chiusura delle cave di sabbia rischia di creare anche un problema di sicurezza idraulica, con isolotti sabbiosi che si formano lungo il corso del Po. A Porto Viro, negli anni d’oro dell’estrazione, c’erano due cave di sabbia. Una apparteneva a Baccarini, di Ravenna, dove c’è ancora una gru di lavorazione; l’altra era dei fratelli Mennea di Sottomarina, e adesso è rimasta soltanto una sbarra. Un’altra cava era nella vicina Cavanella, ed apparteneva a Saccoman, di Rosolina.
Il periodo d’oro dell’estrazione furono gli anni ’80: dal 1990, infatti, le concessioni non sono più state rinnovate. Eppure, la sabbia del Po era molto rinomata: se usata per fini edili, teneva lontana la muffa dalle case, perché povera di sale. E molte aziende della provincia di Treviso lo sapevano bene, e ne facevano incetta. A raccontare quegli anni è un lavoratore, che consegnava la sabbia del Po alle aziende. “Si poteva scavare solo con le barche, che erano munite di scavatore a bordo – ricorda – chi lavorava nelle barche aveva il permesso di scavare per un certo numero di metri cubi. Il Genio civile di Parma, che dava le autorizzazioni, indicava anche i punti dove si doveva scavare per dare più afflusso all’acqua del fiume verso il mare”.
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