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Un’utopia trasformata in realtà: la Repubblica di Bosgattia

Di Antonio Pozzato Pubblicato il 17 Maggio 2019

Repubblica Bosgattia
LA BANDIERA DI BOSGATTIA

E’ una storia affascinante e poco conosciuta. In pochi oggi, passando lungo gli argini del Po all’altezza di Papozze, si immaginano che proprio lì in mezzo al fiume che scorre lento, sorgeva una nazione libera ed indipendente. Un esperimento sociale. Un’utopia.  Oppure, semplicemente, il desiderio di costruire un’isola felice dopo la distruzione della seconda guerra mondiale. Che non aveva solamente distrutto case e uomini. Ma aveva soprattutto tolto umanità, dal cuore e dalle menti delle persone. La Tamisiana Repubblica di Bosgattia fu questo. Un grido scanzonato e irriverente contro il buio creato dal più grande conflitto della storia. Nata nel Polesine, l’eco della sua unicità passò i confini nazionali, per poi essere lentamente dimenticata, tranne da pochi appassionati che ne conservano memoria e cimeli.Repubblica Bosgattia

Foto by: Accademia del Tartufo

Luigi Salvini, il fondatore di una micronazione sul Po

Il fondatore di questa micronazione fu un letterato milanese, il linguista Luigi Salvini. Complice la moglie originaria della provincia di Rovigo, conosce il Polesine e vi trova il luogo ideale dove realizzare la sua “libera, indipendente, periodica, transitoria e analfabeta Tamisiana Repubblica di Bosgattia“. Era il 1946. Fu scelto un luogo isolato, prima in una zona golenale, successivamente sull’Isola del Balotin in mezzo al grande fiume, ed esattamente in corrispondenza del 45° parallelo. In dialetto il tamiso è lo strumento per setacciare la farina e il bosgatto, ovviamente, il maiale. Ma in realtà era una metafora, in quanto ci pensava il Po a dare sostegno agli abitanti di questa minuscola nazione. Ecco allora che il tamiso è la rete per catturare i pesci e il bosgatto lo storione, la preda più ambita che ancora nuotava nelle acque del fiume. Per tre mesi l’anno, Salvini e un piccolo gruppo di amici, trovavano qui il modo di liberare i pensieri. Escludendo tutto ciò che proveniva dal mondo esterno. Poche tende, nessuna comodità. Solo una vita dettata dai ritmi della natura. L’accesso agli estranei, il “Liber Barbarorum“, era permesso solo dopo aver dato prova di abilità nella pesca del pescegatto, ospitati presso il “Caravanserraglio degli Ospiti” e la “Casa dello sbafatore di turno”. I residenti invece avevano regolare passaporto, rilasciato dal “Serenissimo Consiglio degli Anziani della Confraternita”. Erano banditi tutti i collegamenti con la modernità, media compresi, ma soprattutto le persone afflitte da malumore, reumatismi, pedanteria e barzellette già sentite.

Foto by: Accademia del Tartufo

La vita nella Repubblica di Bosgattia

Bosgattia era infatti una nazione a tutti gli effetti. Batteva moneta ed emetteva francobolli. La valuta si affiancava al baratto, prendendo il nome di çievaloro, cioè il cefalo d’oro. Le cui banconote prodotte a mano rappresentano, assieme ai francobolli, delle vere rarità numismatiche.  A decorare i soldi e i prodotti postali erano le scene di vita bosgattiane: la fauna con pesci e volatili, le tende da campeggio, il fiume. Ogni estate, i suoi abitanti, i bocia del posto in veste di aiutanti e i visitatori provenienti da tutta Europa, provavano un’esperienza di assoluto distacco dal mondo esterno. Una goliardia tremendamente seria, o una cosa seria tremendamente goliardica? Questa isola felice, territorialmente e filosoficamente, durerà fino al 1955. Le condizioni di salute del Professor Salvini si aggravano nell’inverno del 1957, lontano dalla sua Repubblica. Dove invece le uniche malattie ammesse erano la “mangite” (una fame vorace che colpiva tre o quattro volte al dì) e la “bosgattite” (una saudade ante litteram che colpisce nei mesi invernali, riempiendo chi ne era afflitto di una smania curabile solamente raggiungendo la terra bosgattiana). Oggi il ricordo di questa esperienza è tramandato grazie a pochi appassionati, come l’Accademia del Tartufo del Delta del Po, che ne tramanda anche le ricette tipiche prodotte dai cuochi di Bosgattia. Oppure negli archivi di chi ha vissuto in prima persona quell’epoca, raccolti nel Museo dedicato alla micronazione presso la Corte Milana di Papozze.

FRANCOBOLLI

Foto by: https://www.flickr.com/photos/8678224@N05/3118793212

L’eredità di Salvini e dei bosgattesi

Ma qual’è la vera eredità di questa visionaria Repubblica? Probabilmente è l’invito implicito del suo fondatore ad abbandonare ciò che di tremendo e brutto affonda le nostre vite. A costruire, con tutti i crismi e l’impegno necessario, un mondo al rovescio. Che si fa burla della realtà più drammatica. Per riportare l’uomo ad una condizione più naturale, libera.  Ancestrale. Dove la natura detta i ritmi della giornata. Dove lo spazio del pensiero è privo di condizionamenti e sovrastrutture, di gabbie e muri. Chi, almeno una volta, nelle nostre frenetiche vite, non  ha desiderato un’isola solitaria dove staccare la spina. Allontanarsi dalle preoccupazioni, da piccoli e grandi conflitti. Pensiamoci quando percorriamo l’argine del Po. Diseducati alla sua importanza. Portatore di vita e morte, ormai relegato ad essere una linea azzurra sulle cartine geografiche. Fermiamoci di fronte ad un isolotto in mezzo al grande. Guardiamo queste terre disabitate come le avevano viste il Salvini e suoi bosgattesi. Un’opportunità. Una via di fuga. Un’oasi preziosa in un deserto troppo abitato. Un punto di partenza. Magari verso qualcosa di grande o semplicemente di più leggero. Un po’ come narra lo stesso Professore nel suo “Una tenda in Riva al Po” mentre con i suoi compagni tenta di raggiungere il mare: “Respiriamo fin nel fondo dei polmoni, come se dovessimo prepararci ad un lungo tuffo sott’acqua; vogliamo cacciare anche il ricordo della lunga attesa, far rinascere il sangue, impigrito e stagnante come l’acqua dei vecchi canali, con il forte salmastro della marina. Vogliamo spingerci avanti, laggiù, seguire l’invito delle onde maliziose, raggiungere le vele bianche e rosse che man mano che procediamo, liberandoci dagli ultimi banchi di sabbia, si accampano su tutto l’orizzonte. Tutti in piedi, ci siamo presi per mano come degli scampati, alla prima Messa della domenica.”

Repubblica Bosgattia

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(fonte: rovigo.italiani.it)

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