venerdì, Aprile 19, 2024
Storia

INQUADRAMENTO STORICO-AMMINISTRATIVO – Parte Quarta –

INQUADRAMENTO STORICO-AMMINISTRATIVO

Il Di Rudinì, allora al Governo, adottò provvedimenti repressivi ed ordinò lo scioglimento delle associazioni socialiste e cattoliche. «Cinquanta dirigenti socialisti di Migliarino, Medelana, Massafiscaglia, Gambulaga, Bondeno, Berra, Cologna, Serravalle, Copparo, Comacchio furono arrestati: alcuni vennero prosciolti in istruttoria, altri furono condannati a pene varianti da uno a otto mesi di reclusione»

Mentre a Cologna, nel 1899, l’ing. Ugo Mongini raccoglieva le sottoscrizioni per la ripresa delle pubblicazioni da parte della «Scintilla», e l’11 dicembre si teneva in Ferrara il primo Congresso provinciale socialista, si chiudeva un’epoca di storia locale ed italiana ed un’altra, non meno gravida di tensioni, si affacciava alla ribalta della scena sociale, politica ed economica. La situazione particolare del 1897-98 sfociò nel 1901 nelle prese di posizione della classe operaia che nelle zone di bonifica vedeva ancora una volta misconosciuta la serie di quegli elementari diritti che, se garantiti in modo pieno, avrebbero indubbiamente innalzato il tenore di vita e le condizioni generali della popolazione.

«Attorno al 1900 nelle nostre zone sorgono le prime Leghe contadine e tra il 1900 ed il 1901 vengono costituite quelle di Berra, Cologna e Serravalle.

Giungono, infatti, nelle campagne i primi echi della propaganda socialista e i lavoratori sentono parlare di libertà, della giornata di otto ore e della necessità di organizzazione sindacale per rivendicare un salario migliore».

Il padronato, d’altro canto, deciso a proseguire nella linea della intransigenza, soprattutto dopo i gravi fatti di Tresigallo, si affidò al lavoro «sicuro» di centinaia di crumiri calati nel ferrarese dopo il reclutamento effettuato a Lodi ed in Piemonte dalla Banca di Torino.

«Uno dei fondi assegnati ai piemontesi fu la tenuta Albersano di Berra. Quando, il 27 giugno, gli obbligati e gli avventizi di Berra li videro al lavoro, in men che non si dica si formò un corteo di scioperanti decisi ad ottenere un immediato confronto con i crumiri, con l’evidente speranza di riuscire a persuaderli ad associarsi allo sciopero. Arrivati che furono nei pressi del ponte che dava accesso alla tenuta, gli scioperanti furono fermati dall’ordine di arresto impartito da un reparto militare schierato sul ponte, e comandato dal tenente De Benedetti, un ufficiale particolarmente caro al padronato per essersi dedicato, negli anni precedenti, allo studio dell’impiego tattico della forza militare in difesa dei diritti della proprietà minacciata dal contadiname. Si può facilmente immaginare, al di là dell’inevitabile contraddittorietà delle testimonianze raccolte dalle fonti, ciò che accadde. Gli scioperanti volevano passare ad ogni costo per poter parlamentare; il De Benedetti – che il Bissolati definirà un «nevrastenico» ed un «impulsivo», – era deciso a sbarrare loro la strada per impedire la duplice infrazione della legge (violazione del diritto di proprietà e violazione della libertà di lavoro) a suo giudizio rappresentata dall’attraversamento del ponte.

Che il De Benedetti fosse deciso a far funzionare le armi è attestato, proprio nel dispositivo della sentenza di assoluzione del tribunale militare, dalla descrizione del modo da lui tenuto nel rifiutare la proposta di negoziato avanzata da un vicebrigadiere accorso sul luogo in compagnia di un carabiniere: «Quando la massa era già poco lontana – si legge nella citata sentenza – il vicebrigadiere propose di andare a parlare con la folla; ma il tenente glielo vietò ordinandogli di ritirarsi, perché con pochi uomini come aveva, correva rischio di essere travolto e poi perché, trovandosi davanti alla truppa il vicebrigadiere ed il carabiniere, non sarebbe stato libero di agire come le circostanze potevano richiedere». Due scioperanti (il trentottenne Calisto Desuò e la trentaquattrenne Cesira Nicchio) caddero subito, colpiti a morte dalla scarica ordinata dal De Benedetti; un altro bracciante (Fusetti) morì successivamente per le ferite riportate; molti altri scioperanti riportarono ferite, più o meno gravi» (“).

L’eccidio di Ponte Albersano ebbe subito un’eco alla Camera e finalmente il salario fu aumentato dal 9 al 10 e 1/2% in natura nelle terre vecchie, e portato ali’11% nelle terre vallive; in pratica, una media di 3 lire al giorno per lavoratore, pari a lire 330 del 1958.

La lotta degli operai e dei meno abbienti aveva ottenuto quindi una prima decisiva conquista ed andava maturando i germi di una progressiva presa di coscienza politica e sindacale, ma allontanava paurosamente, e divergeva vieppiù, le posizioni della Sinistra e del movimento cattolico.

«I cattolici operarono ad alleviare le sofferenze della plebe rurale, coll’intento di strapparle all’influenza irreligiosa dei socialisti, conseguendo modesti risultati. I contrasti tra le Leghe e le Unioni Professionali furono vivacissimi, ed il terreno venne aspramente conteso. Ma i socialisti, che già avevano organizzati i primi e più clamorosi scioperi generali, godevano di un prestigio inamovibile. Le masse, nelle quali già fermentavano i germi della incredulità e dello scetticismo, aderivano ciecamente alla predicazione illusoria dei marxisti».

Contemporaneamente allo sviluppo dei «germi della incredulità e dello scetticismo» si sviluppava un’intensa e capillare opera di lotta alla religione e alle istituzioni cattoliche, nonché agli stessi cattolici che addirittura, in alcuni casi, venivano emarginati. Tutto questo, certamente, non contribuiva a raccogliere in unità di intenti le giuste aspirazioni e rivendicazioni di miglioramenti economici, che non potevano essere, ben si capisce, esclusivo appannaggio di un’unica formazione politica o sindacale. Anzi, incrementava nei più esaltati ed esagitati la convinzione di trovare comunque nel Clero e nei cattolici un «nemico» da abbattere, un ostacolo ed un intralcio da superare anche con la forza per il raggiungimento degli obiettivi propostisi dalla classe operaia nella stragrande maggioranza socialista.

Ne è prova l’ordine del giorno approvato dalla Lega femminile di Copparo, su proposta del segretario della Camera del Lavoro, nel marzo 1908:

«Ritenuto – cosi il testo – che le religioni sono il frutto delle fantasie esaltate di uomini primitivi ed ignoranti, incapaci di ricercare le spiegazioni dei fenomeni naturali; ritenuto che i presenti ministri di tutte le religioni sono interessati a far permanere la classe lavoratrice sotto il giogo dello sfruttamento borghese, e le donne in ispecie nel peggiore asservimento dell’anima e del fanatismo irragionevole; tutte le donne organizzate si astengano assolutamente di frequentare la chiesa, abbandonando ogni idea di religione e impegnandosi a non compiere più i riti e le cerimonie ad esse imposte dalle chiese e dalle rispettive religioni».

Accanto a questi problemi di convivenza ideologica, nella nostra zona si faceva pressante l’attuazione di quel desiderio d’autonomia amministrativa sancito nella proposta di frazionamento del Comune di Copparo in più enti locali, capaci di garantire almeno in parte, una attenzione particolare ai problemi di una popolazione in continuo aumento.

Divenuto autonomo, il Comune di Berra iniziò la propria attività amministrativa il mercoledì 2 febbraio 1910. A Berra vennero aggregate le due frazioni di Serravalle e Cologna. Il 24 maggio 1912 il Consiglio comunale di Berrà, sotto la presidenza del signor Gian Battista Capatti – facente funzioni di sindaco – deliberò di dare uno stemma proprio, al nuovo ente che si era costituito. Si interrogò al proposito la Consulta Araldica di Roma, al fine di stabilire se vi fossero antecedenti storici che potessero portare alla delineazione o reintegrazione di uno stemma che fosse stato nei tempi antichi il simbolo di questa zona. Ma ogni ricerca, anche nei più antichi archivi italiani, fu vana e, perciò si decise di creare ex novo uno stemma. Su una fascia bianca campeggia il Po, biforcuto all’estremità destra, poiché esso costeggia per tutta la sua lunghezza il territorio comunale e lo caratterizza. In campo verde le tre stelle, simbolo dei tre centri di Berra, Cologna e Serravalle, e la fiaccola simbolo della libertà. Elaborato nel 1912 dal pittore ferrarese Edmondo Fontana su commissione del Consiglio comunale, durante il periodo fascista lo stemma comunale fu integrato con il fascio littorio al di sopra dello stemma stesso, simbolo di subordinazione dell’autonomia locale alla dittatura, prontamente eliminato durante le ultime battute della guerra di liberazione cui il nostro comune ha dato notevole contributo di sangue.

Concludo riferendo che nei tre centri del nostro comune si svolgono settimanalmente i tradizionali mercati: a Berra, ogni martedì, a Cologna ogni venerdì, a Serravalle, ogni giovedì. Le feste patronali: a Berra, con denominazione di «Fiera di Ferragosto», le manifestazioni organizzate dal locale Comitato vanno dal 15 al 17 agosto (patrono: S. Rocco); a Cologna, sagra paesana il 20 luglio (patrona: S. Margherita), a Serravalle le due sagre (il 13 giugno S. Antonio da Padova, e il 4 ottobre S. Francesco d’Assisi, patrono) da ormai dodici anni sono state conglobate in un’unica sagra, che si tiene la prima domenica di agosto.

Il nostro breve excursus storico e amministrativo si ferma qui. Certo, manca tutta la lunga serie di vicende storiche, politiche, amministrative ed economiche che hanno caratterizzato il periodo successivo fino ai nostri giorni. Una simile esposizione esulava dagli intenti del presente capitolo ed in generale di questo lavoro; intenti che erano essenzialmente di ricerca e recupero di materiale storico di epoche lontane, e, per ciò che riguarda il nostro paese in particolar modo, mai fino ad ora sistematizzato. Ritengo, inoltre, che il periodo che va dalla Prima Guerra Mondiale ai nostri giorni, così gravido di contenuti sociali, meriterebbe una esposizione ben più ampia di quella che potrebbe risultare da un semplice «riassunto». Sono sicuro, tuttavia, che soprattutto i giovani vorranno avvertire la necessità di raccogliere il mio umile invito ad uno studio serio e imparziale degli avvenimenti locali che qui non figurano, e che hanno contribuito all’assetto della attuale società. Solo così le vicende di tempi ormai lontani non si slegheranno dalle contingenze attuali, ma saranno anzi, e diventeranno in questo contesto, un ulteriore, prezioso contributo alla conoscenza della nostra storia.

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